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Le plastiche nei prodotti dell’acquacoltura intensiva: un problema controllabile?

La contaminazione da microplastiche è una realtà sempre più grave per l'ambiente e rappresenta una minaccia per la sicurezza alimentare e la salute umana.
 
La presenza di microplastiche nelle specie animali e vegetali utilizzate per il consumo umano rappresenta un problema globale. L’esposizione può avvenire con il consumo non solo di prodotti animali e vegetali di provenienza terrestre ed acquatica, ma potenzialmente di qualsiasi cibo, di acque potabili od in bottiglia, nonché attraverso l’inalazione aerea.
L’allarme globale connesso alla presenza di “isole di plastica” nei nostri oceani ha generato una crescente preoccupazione del pubblico, tuttavia le informazioni sulla presenza e sulle dinamiche delle microplastiche e nanoplastiche è ancora scarsa.
I livelli di esposizione sono in gran parte sconosciuti e mancano quasi completamente le conoscenze relative ai potenziali effetti sull’uomo.
La letteratura degli ultimi anni oltre a segnalare la presenza di mico e nanoplastiche in vari organismi marini e terrestri, ha individuato punti critici sulla conoscenza della problematica, FAO e EFSA hanno elaborato raccomandazioni per affrontare questo tipo di studi, nonché indicazioni sulle priorità da perseguire (Fisheries and Aquaculture Technical Paper n. 615 del 2017; Parere 11 maggio 2016, doi: 10.2903/j.efsa.2016.4501).
Nel settore dell’acquacoltura estensiva o di estrazione (vallicoltura/stagnicoltura o l’allevamento di molluschi) è possibile immaginare protocolli di monitoraggio quantitativo e di caratterizzazione delle plastiche mentre al contrario nell’allevamento ittico intensivo, dove l’alimentazione è controllata, è possibile progettare protocolli di monitoraggio e di minimizzazione delle plastiche, attraverso studi in modello animali e individuazione di una soglia di sicurezza per la specie umana.
Metodologie quali la spettrometria ad infrarossi con analisi di Fourier (FT-IR), la spettrometria Raman avanzata e l’analisi microscopica ottica ed elettronica (TEM, SEM) consentono di individuare quantità, natura delle plastiche e dimensione delle particelle.
Con la finalità di giungere ad una comprensione dei potenziali rischi per la salute umana, modelli animali tra i quali gli stessi pesci allevati, consentono di studiare gli effetti delle plastiche a livello tissutale, cellulare e molecolare, anche utilizzando nanoplastiche artificiali. Gli effetti avversi dell'ingestione delle microplastiche sono stati osservati per ora solo negli organismi acquatici in condizioni di laboratorio, solitamente a concentrazioni di esposizione molto elevate che superano di diversi ordini di grandezza le reali concentrazioni ambientali. Negli organismi acquatici selvatici le microplastiche sono state osservate solo nel tratto gastrointestinale, di solito in piccole quantità, mentre solamente pochi lavori ne descrivono la presenza nelle parti edibili. 
Un recente studio clinico condotto presso l’Università di Vienna (Schwabl et al., 2018), ha stimato che oltre il 50% della popolazione mondiale è a rischio di ingestione di microplastiche, e ha avviato un'analisi preliminare degli effetti delle microplastiche sulla salute umana. Il rischio per l’individuo è connesso alla probabilità che esse hanno di attraversare la barriera intestinale e quindi di interagire, oltre che sul microbiota intestinale, su geni che controllano gli equilibri endocrini, l’infiammazione, la risposta immunitaria, la riproduzione, ovvero di superare la barriera emato-encefalica anche nell’uomo.
Sebbene al momento non siano disponibili informazioni circa la presenza di mico e nano plastiche nella catena alimentare del pesce allevato, alcune case mangimistiche hanno sviluppato programmi di monitoraggio sui mangimi di loro produzione. Il progetto AGER 4F - Fine Feed For Fish impegnato nell'ottimizzazione dei mangimi per pesci di acqua dolce e marini in allevamento intensivo, ha incluso nel proprio piano sperimentale un'analisi di rischio della presenza di micro e nano plastiche nelle componenti dei mangimi e sulla qualità dell’acqua nell’allevamento. I risultati rappresenteranno un primo approccio per la riduzione della presenza di plastiche nel pesce allevato con tecnologia intensiva.
 
 
Fonte: Marco Saroglia, Genciana Terova, Università degli Studi dell'Insubria