L’Università di Udine, di Firenze e il Politecnico delle Marche (autori: Lina Fernanda Pulido-Rodriguez, Gloriana Cardinaletti, Giulia Secci, Basilio Randazzo, Leonardo Bruni, Roberto Cerri, Ike Olivotto, Emilio Tibaldi e Giuliana Parisi) hanno da poco pubblicato i risultati della ricerca condotta su orate alimentate con diete prive di fonti proteiche marine (farine di pesce) in cui una quota parte delle proteine di origine vegetale è stata sostituita con farina di pupe della mosca soldato nera (al 10, 20, e 40%), sottoprodotti della lavorazione avicola (al 20 e 40%), un mix delle due precedenti (insetto al 10 e sottoprodotti al 30%), gambero rosso della Luisiana (al 10%) e con un blend di microalghe essiccate, Tisochrysis lutea and Tetraselmis suecica (al 10%). Il lavoro, accettato dalla rivista scientifica Animals (https://doi.org/10.3390/ani11071919) si contraddistingue non solo per i risultati ottenuti, ma anche per l’elevata interdisciplinarità. I ricercatori hanno infatti preso in esame la risposta dei pesci ai nuovi formulati mangimistici in termini di accrescimento, ingestione di alimento, espressione, nell’intestino e nel cervello, di alcuni geni coinvolti nella regolazione dell’appetito per concludere con la valutazione delle principali caratteristiche merceologiche e fisiche e del valore nutrizionale dei filetti. In generale, le farine di origine animale (insetto, avicoli, gambero) hanno dato risposte favorevoli in termini di crescita e conversione alimentare dei pesci senza influenzare caratteristiche importanti come il colore del filetto e il rapporto tra il contenuto degli acidi grassi polinsaturi n-3 e n-6 (indice di interesse per la salute umana). Al contrario, la sostituzione al 10% delle proteine vegetali con un blend di microalghe non appare una soluzione vincente. Queste fonti proteiche, infatti, sovraregolano l’espressione della grelina, un ormone che stimola l’appetito, facendo sì che i pesci mangino di più. Considerando anche la minor digeribilità conferita all’alimento dalle microalghe testate, il risultato finale è un aumento dell’indice di conversione alimentare delle orate, che allontana questi ingredienti alternativi dal loro possibile impiego in larga scala nei mangimi per l’orata.