Lo studio recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Aquaculture “Is it possible to cut down fishmeal and soybean meal use in aquafeed limiting the negative effects on rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) fillet quality and consumer acceptance?” (doi 10.1016/j.aquaculture.2021.736996) è frutto del lavoro dei giovani ricercatori di UNIFI Leonardo Bruni, Giulia Secci, Yara Husein e Adja Cristina Lira de Medeiros che, grazie al supporto del Dott. Filippo Faccenda (FEM) e alla supervisione della Prof.ssa Giuliana Parisi hanno presentato i dati della caratterizzazione della qualità dei filetti di trota, valutandoli un un’ottica a 360°.
L’effetto di 5 diverse diete (una a base di farina di pesce, CF; una a base di proteine vegetali, CV; una con il 60% delle proteine vegetali sostituito con PBM,P60, o con HM, H60 o con un mix di PBM e HM,H10P50) è stato valutato considerando le caratteristiche biometriche, la resa commerciale, le caratteristiche fisiche, lo stato ossidativo, la qualità nutrizionale dei filetti di trota freschi e conservati e il gradimento dei consumatori per i filetti ottenuti dai pesci alimentati con le diverse diete.
L’analisi delle componenti principali ha mostrato due cluster, uno che raggruppava i campioni CF e l'altro che raggruppava tutti gli altri gruppi sperimentali. In effetti, anche con l’analisi della varianza dei vari parametri esaminati, la maggior parte delle differenze sono state riscontrate tra il gruppo di animali alimentati con la dieta di controllo a base di farina di pesce e quelli alimentati con le altre formulazioni. Nello specifico, le diete a base vegetale, con o senza inclusione delle fonti proteiche alternative, hanno determinato un indice epatosomatico significativamente inferiore e un colore leggermente diverso rispetto al gruppo CF. Le differenze più evidenti tra i trattamenti alimentari sono state riscontrate nel profilo in acidi grassi, ancora una volta con i pesci del gruppo CF nettamente distinti dagli altri specialmente per i valori più alti degli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA). Tale differenza, però, si è ripercossa negativamente sulla suscettibilità ai fenomeni di ossidazione lipidica: i pesci del gruppo CF, infatti, sono risultati quelli più soggetti alla degradazione, sia immediatamente dopo la macellazione che al termine della conservazione. Da notare che gli ingredienti alternativi hanno prodotto un impatto sulla qualità dei filetti di trota del tutto paragonabile al gruppo alimentato con la dieta a base vegetale priva di farina di pesce, dimostrando così che è possibile ridurre entrambe le fonti proteiche convenzionali con ingredienti più sostenibili. Per di più, i consumatori hanno giudicato positivamente i filetti di tutti i gruppi di trote, a prescindere dalla dieta, e il 25% ha espresso spontaneamente delle critiche per le caratteristiche sensoriali dei gruppi CF, CV e H60.
In sintesi, sebbene il miglioramento del profilo nutrizionale del pesce alimentato con le fonti proteiche alternative rimanga una priorità, l’utilizzo combinato di PBM e HM nei formulati mangimistici sembra una strategia da percorrere per lo sviluppo di un’acquacoltura più sostenibile.
L’articolo è scaricabile gratuitamente per fino al 23.07.2021 a questo link: https://authors.elsevier.com/a/1dAyIACeY7wx-