Secondo un rapporto della FAO (2018), l’11% della popolazione mondiale soffre ancora di povertà e non ha accesso ad un sufficiente livello di nutrizione. All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, il 17% della popolazione mondiale soffriva cronicamente la fame. Sebbene questa percentuale sia progressivamente scesa fino al 2015, in seguito essa ha ripreso a salire tanto che già nel 2016 si contavano 815 milioni di persone in completa indigenza alimentare. Nel corso dell’ultima decade abbiamo assistito ad un significativo aumento di produzione del cibo, ma non necessariamente ad una sua equa distribuzione, per cui circa un miliardo di persone non ha ancora accesso ad un sufficiente livello di nutrizione.
I progetti delle organizzazioni internazionali, della Banca mondiale e dell’Unione Europea per ridurre la fame e la malnutrizione entro il 2030, sono principalmente basati sull’agricoltura sostenibile e su sistemi stabili di produzione e distribuzione degli alimenti, al fine di assicurare quantità di cibo sufficienti a garantire in modo diffuso un buon livello di salute e di nutrizione, FAO (2017).
Sebbene nel mondo occidentale ed in alcuni paesi asiatici la crescita demografica sembra stia riducendo l’accelerazione, in altre regioni mostra invece una crescita esponenziale. Ad esempio si stima che entro il 2050 la popolazione dei paesi in via di sviluppo, quali le regioni meridionali del continente asiatico e dell’Africa sub-sahariana, crescerà di almeno 2,5 miliardi e dipenderà essenzialmente dall’agricoltura per i mezzi di sussistenza. Pertanto le previsioni di almeno 9,5 miliardi di abitanti del Pianeta per il 2050 sono al momento da ritenersi realistiche.
Con le attuali abitudini alimentari, nel 2014 sono state consumate 312 milioni di tonnellate (Mt) di carne (esclusi i prodotti ittici), per un equivalente medio di 43 kg pro-capite.
I progetti delle organizzazioni internazionali, della Banca mondiale e dell’Unione Europea per ridurre la fame e la malnutrizione entro il 2030, sono principalmente basati sull’agricoltura sostenibile e su sistemi stabili di produzione e distribuzione degli alimenti, al fine di assicurare quantità di cibo sufficienti a garantire in modo diffuso un buon livello di salute e di nutrizione, FAO (2017).
Sebbene nel mondo occidentale ed in alcuni paesi asiatici la crescita demografica sembra stia riducendo l’accelerazione, in altre regioni mostra invece una crescita esponenziale. Ad esempio si stima che entro il 2050 la popolazione dei paesi in via di sviluppo, quali le regioni meridionali del continente asiatico e dell’Africa sub-sahariana, crescerà di almeno 2,5 miliardi e dipenderà essenzialmente dall’agricoltura per i mezzi di sussistenza. Pertanto le previsioni di almeno 9,5 miliardi di abitanti del Pianeta per il 2050 sono al momento da ritenersi realistiche.
Con le attuali abitudini alimentari, nel 2014 sono state consumate 312 milioni di tonnellate (Mt) di carne (esclusi i prodotti ittici), per un equivalente medio di 43 kg pro-capite.
Consumo mondiale di carne, escluso il pesce, negli anni, (Da: FAO)
(https://www.hellogreen.it/wp/wp-content/uploads/2020/04/consumo-di-carne-nel-mondo.jpget. Modif.)
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Parallelamente all’incremento demografico, cresce la domanda di cibo e le proiezioni future della FAO delineano entro il 2050 uno scenario in cui saranno necessarie, per il solo consumo umano, più di 500 Mt di carne per anno, con un aumento rispetto all’attuale che a seconda delle varie stime potrà corrispondere a 177-188 Mt.
Le tipologie degli allevamenti che forniscono la maggior parte della produzione totale, sfruttano il suolo. Per contro, la limitazione delle terre coltivabili a causa dell’urbanizzazione, della salinizzazione e della desertificazione, impone grande attenzione alla sostenibilità dei sistemi produttivi. Inoltre, anche l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali ed il riscaldamento globale, assieme ad incontrollabili fenomeni metereologici ed alla siccità, rischiano di impattare negativamente sui sistemi produttivi, come sulla biodiversità agricola ed acquatica. Il progressivo sviluppo produttivo che dovrà essere in grado di sostenere la domanda di cibo sano da parte della popolazione umana, dipenderà dalla capacità di creare ed introdurre nuovi sistemi produttivi caratterizzati da ridotta domanda energetica e limitato stress sugli ecosistemi sia terrestri che acquatici. Inoltre saranno anche indispensabili cambiamenti nelle abitudini alimentari e nella dieta.
L’acquacoltura e la pesca rappresentano indubbiamente una chiave per il futuro della produzione di cibo sano e nutriente. Mentre la pesca è generalmente vista come attività di eccessivo sfruttamento della risorsa oceanica, la maricoltura rappresenta invece una risorsa in continua crescita in grado di fornire prodotti ittici per l’alimentazione umana, sebbene con differenti target e tipologie produttive, nei paesi ad elevato reddito o nei paesi in via di sviluppo, comunque con un rilascio relativo di azoto e fosforo decisamente inferiore alle produzioni di animali terrestri.
L’espansione dell’acquacoltura e della pesca in acque interne rappresentano per molti paesi un’importante fonte di sostentamento; pur ricoprendo ancora una percentuale limitata della produzione totale di cibo, risentono anch’esse inevitabilmente dei vincoli ecosistemici e territoriali.
L’acquacoltura e la pesca rappresentano indubbiamente una chiave per il futuro della produzione di cibo sano e nutriente. Mentre la pesca è generalmente vista come attività di eccessivo sfruttamento della risorsa oceanica, la maricoltura rappresenta invece una risorsa in continua crescita in grado di fornire prodotti ittici per l’alimentazione umana, sebbene con differenti target e tipologie produttive, nei paesi ad elevato reddito o nei paesi in via di sviluppo, comunque con un rilascio relativo di azoto e fosforo decisamente inferiore alle produzioni di animali terrestri.
L’espansione dell’acquacoltura e della pesca in acque interne rappresentano per molti paesi un’importante fonte di sostentamento; pur ricoprendo ancora una percentuale limitata della produzione totale di cibo, risentono anch’esse inevitabilmente dei vincoli ecosistemici e territoriali.
Maricoltura RiservAzzurra, Marina Torre Grande, Cabras (OR). (Foto: Gaspare Barbera, 2020)
Il cibo che proviene dal mare, sia esso derivante dalla maricoltura o dalla pesca, pur contribuendo globalmente ad oggi solo per il 17% della produzione di carne, potrebbe contribuire in modo considerevole all’incremento sostenibile necessario a soddisfare le richieste alimentari future.
La maricoltura, rispetto alla pesca, risente in misura minore delle costrizioni ambientali e spaziali ed in termini di qualità nutrizionale i prodotti, del tutto simili, contengono micronutrienti e acidi grassi essenziali, quali gli omega-3 polinsaturi a lunga catena (EPA e DHA), scarsamente o per nulla presenti nelle carni di allevamenti terrestri. L’apporto proteico pro-capite di alimenti di origine marina risulta fin da ora significativo, infatti basandosi sulle statistiche FAO, Béné et al. (2015) stimano che la somma del prodotto dell’acquacoltura e della pesca fornisca nell’ordine il 115, 133 e 189% di proteine rispetto all’allevamento di suini, pollame e bovini.
La maricoltura, rispetto alla pesca, risente in misura minore delle costrizioni ambientali e spaziali ed in termini di qualità nutrizionale i prodotti, del tutto simili, contengono micronutrienti e acidi grassi essenziali, quali gli omega-3 polinsaturi a lunga catena (EPA e DHA), scarsamente o per nulla presenti nelle carni di allevamenti terrestri. L’apporto proteico pro-capite di alimenti di origine marina risulta fin da ora significativo, infatti basandosi sulle statistiche FAO, Béné et al. (2015) stimano che la somma del prodotto dell’acquacoltura e della pesca fornisca nell’ordine il 115, 133 e 189% di proteine rispetto all’allevamento di suini, pollame e bovini.
Produzione totale della pesca e dell’acquacoltura nel tempo (escluse alghe e piante acquatiche).
Massa viva totale (a) e massa edibile equivalente (b).
In (b) si assume che il 18% del prodotto di cattura venga utilizzato per scopi diversi dall’alimentazione umana. (Da: Costello et al., 2020. Modif.).
Secondo l’aggiornamento al 2018 riportato in FAO (2020), con il consumo attuale di 156,4 Mt, di cui 82,1 Mt dall’acquacoltura e 74,3 Mt dalla pesca (dei 96,4 Mt totali catturati), si soddisfa un consumo medio pro-capite di 20,5 kg. Pur tenendo conto degli scarti di toelettatura e di cucina, valutabili per eccesso fino al 50% della biomassa, ne deriva una massa edibile corrispondente in media al 28% del fabbisogno pro-capite di proteine carnee per una popolazione mondiale di 3,5 miliardi, ossia per circa la metà dell’attuale popolazione mondiale.
Il consumo medio annuale pro-capite di pesce, è più che triplicato nell’ultimo mezzo secolo, passando da 6 kg nel 1950 ai 20,5 kg del 2018 e la produzione di pesce nello stesso periodo è cresciuta ad una velocità superiore a quella dell’incremento della popolazione. Al fine di garantire almeno l’attuale consumo annuale medio di pesce per la popolazione prevista al 2050, occorreranno oltre 205,7 Mt di prodotti ittici. Dato per improbabile un significativo incremento della pesca, l’acquacoltura dovrà prendersi carico per oltre131,9 Mt, ossia ulteriori 49,8 Mt oltre alle 82,1 Mt della produzione attuale, con un incremento del 60,7%, ma tale stima potrebbe risultare sottovalutata in quanto, per motivi salutistici, è prevedibile un aumento delle preferenze verso una dieta sempre più ricca di prodotti ittici.
Per far fronte a ciò, nonostante il settore sia in continua crescita, soprattutto per quanto riguarda la maricoltura, la sfida per arrivare a soddisfare le richieste alimentari entro il 2050 si giocherà su misure politiche, economiche e tecnologiche. Dal punto di vista operativo, le rotte da percorrere, al fine di giungere ad un aumento della produzione derivante dal mare, sono l’ottimizzazione e l’introduzione di riforme per la pesca e la maricoltura, lo sviluppo di nuove formule mangimistiche sostenibili per l’allevamento, il miglioramento biotecnologico ed una diversificazione della domanda su scala mondiale.
La forte necessità di una rinnovata gestione della risorsa della pesca, si basa sul concetto che per ottenere una maggiore produzione sostenibile a lungo termine, bisognerebbe impedire il depauperamento degli stock selvatici eccessivamente sfruttati (ad oggi, solo il 65,8% degli stock rientra in un livello di sostenibilità biologica) ed aprire nuovi mercati su specie al momento non commercialmente utilizzate, al fine di mantenere le popolazioni ittiche al loro massimo stato produttivo.
In questo contesto, si stima che per quanto riguarda la pesca, una gestione ottimizzata del settore in cui il prezzo medio del prodotto influenzerebbe la sua produzione, tenendo conto della capacità portante dell’ecosistema, genererebbe per il 2050 un aumento fino a 51,3 Mt, rispetto alla produzione attuale. Al contrario, mantenendo l’attuale pressione di pesca sugli stock, si pescherebbero solo quelle specie capaci di generare profitto e dunque la produzione totale risulterebbe inferiore addirittura a quella attuale.
L’acquacoltura di estrazione, ovvero l’allevamento/coltivazione di specie che non necessitano di mangimi, come è il caso dei bivalvi, non essendo soggetta a limitazioni alimentari, si trova dunque in una condizione ottimale ed a seguito di una riforma politico-amministrativa, il possibile incremento produttivo potrebbe variare in un ampio intervallo compreso tra i 2,9-80,5 Mt, a seconda degli interventi e della convenienza economica, al prezzo medio corrente.
Il consumo medio annuale pro-capite di pesce, è più che triplicato nell’ultimo mezzo secolo, passando da 6 kg nel 1950 ai 20,5 kg del 2018 e la produzione di pesce nello stesso periodo è cresciuta ad una velocità superiore a quella dell’incremento della popolazione. Al fine di garantire almeno l’attuale consumo annuale medio di pesce per la popolazione prevista al 2050, occorreranno oltre 205,7 Mt di prodotti ittici. Dato per improbabile un significativo incremento della pesca, l’acquacoltura dovrà prendersi carico per oltre131,9 Mt, ossia ulteriori 49,8 Mt oltre alle 82,1 Mt della produzione attuale, con un incremento del 60,7%, ma tale stima potrebbe risultare sottovalutata in quanto, per motivi salutistici, è prevedibile un aumento delle preferenze verso una dieta sempre più ricca di prodotti ittici.
Per far fronte a ciò, nonostante il settore sia in continua crescita, soprattutto per quanto riguarda la maricoltura, la sfida per arrivare a soddisfare le richieste alimentari entro il 2050 si giocherà su misure politiche, economiche e tecnologiche. Dal punto di vista operativo, le rotte da percorrere, al fine di giungere ad un aumento della produzione derivante dal mare, sono l’ottimizzazione e l’introduzione di riforme per la pesca e la maricoltura, lo sviluppo di nuove formule mangimistiche sostenibili per l’allevamento, il miglioramento biotecnologico ed una diversificazione della domanda su scala mondiale.
La forte necessità di una rinnovata gestione della risorsa della pesca, si basa sul concetto che per ottenere una maggiore produzione sostenibile a lungo termine, bisognerebbe impedire il depauperamento degli stock selvatici eccessivamente sfruttati (ad oggi, solo il 65,8% degli stock rientra in un livello di sostenibilità biologica) ed aprire nuovi mercati su specie al momento non commercialmente utilizzate, al fine di mantenere le popolazioni ittiche al loro massimo stato produttivo.
In questo contesto, si stima che per quanto riguarda la pesca, una gestione ottimizzata del settore in cui il prezzo medio del prodotto influenzerebbe la sua produzione, tenendo conto della capacità portante dell’ecosistema, genererebbe per il 2050 un aumento fino a 51,3 Mt, rispetto alla produzione attuale. Al contrario, mantenendo l’attuale pressione di pesca sugli stock, si pescherebbero solo quelle specie capaci di generare profitto e dunque la produzione totale risulterebbe inferiore addirittura a quella attuale.
L’acquacoltura di estrazione, ovvero l’allevamento/coltivazione di specie che non necessitano di mangimi, come è il caso dei bivalvi, non essendo soggetta a limitazioni alimentari, si trova dunque in una condizione ottimale ed a seguito di una riforma politico-amministrativa, il possibile incremento produttivo potrebbe variare in un ampio intervallo compreso tra i 2,9-80,5 Mt, a seconda degli interventi e della convenienza economica, al prezzo medio corrente.
Fonte:Marco Saroglia, Federico Moroni, Genciana Terova. Dipartimento Biotecnologie e Scienze della Vita, Università degli Studi dell’Insubria, Varese